
«Questa deve essere la stagione dell’Ulivo 2.0. Così il Pd torna a fare da collante a tutta la coalizione»
di Matteo Macor
Il centrosinistra ora ci crede. Dopo l’exploit di Savona, con Russo favoritissimo al ballottaggio, si pensa alle Comunali di Genova del 2022. Obiettivo trovare un altro candidato autorevole entro un mese. E la senatrice Roberta Pinotti riflette: «Questa deve essere la stagione dell’Ulivo 2.0, in cui il Pd si candida a fare da collante tra forze diverse».
È «una bella giornata», dice Roberta Pinotti nel day after del voto amministrativo. La senatrice genovese del Pd commenta i dati elettorali «anche sorprendenti, ma chiari» da Roma, dove è volata per partecipare ai lavori della Commissione Difesa, e ammette: «Savona può essere un modello per le prossime sfide».
Di sicuro il Pd pare resuscitato, dopo aver toccato il fondo. Ma cosa dicono, a sinistra, queste elezioni? «Posto che si tratta di un primo tempo, e che ci sono ancora ballottaggi fondamentali, da Roma alla Liguria, i risultati del voto dicono che il Pd c’è, e sa ancora fare da punto di riferimento di uno schieramento. Anche in Germania quello che veniva dato per superato, senza più niente da dire, si è rivelato primo partito, il più adatto a meritarsi la fiducia dei cittadini».
Ha
vinto un certo tipo di proposta moderata, hanno perso i partiti sovranisti. Sta
tutto qua, il senso di questa tornata?
«No,
il senso è che ha vinto un certo tipo di riformismo anche radicale nel saper
tenere un’identità forte. I Socialdemocratici tedeschi sono un buon esempio,
Scholz era ministro delle Finanze della Merkel eppure ha portato avanti proposte
radicali, penso a quella sul salario minimo. Oggi come non mai non c’è bisogno
di estremismi, quello sì, ma servono anche partiti capaci di fare da forze di
governo e insieme profondamente connotati. Il Pd ha un suo programma preciso in
tema di lavoro, sociale, diritti civili, un percorso che gli elettori hanno
compreso e voluto premiare. A dividere centrosinistra e centrodestra,
piuttosto, è altro».
Ovvero?
«Il
Covid. La pandemia ha portato ad un’agenda politica diversa, e i cittadini a
chiedere una certa qualità della politica. Da una parte sono arrivate posizioni
serie, dall’altra slogan urlati, occhiolini a no mask e no pass. I problemi
delle persone sono seri, la gente è preoccupata e per certi versi lo dimostra
il dato così negativo dell’affluenza. Mai come in questa stagione c’è
richiesta di guide che prendano per mano le comunità e risolvano problemi.
Marco Russo, a Savona, è l’esempio perfetto di chi, con forza tranquilla,
dimostra di sapersi prendere a cuore una città».
Cosa
racconta la sconfitta del centrodestra, in una regione come la Liguria di
Giovanni Toti?
«Che
in politica contano ancora la coerenza e l’unità. Il centrodestra ha proposto
un’unità di facciata, c’erano tensioni tra Lega e Fdi a livello nazionale, ci
sono tensioni tra Cambiamo e Lega in Liguria, che poi sono il motivo della
scelta sbagliata dei candidati. E soprattutto, a destra vediamo uno insieme
all’altro chi si fa (fortunatamente) paladino delle vaccinazioni e del Green
Pass, come Toti, e chi fa l’occhiolino ai no vax».
Nel
centrosinistra ligure, dopo il voto di Savona, si può invertire la rotta? E
come, dopo tante sconfitte?
«Tornando a
cucire, invece che strappare. Dopo la stagione del partitismo, si è capito che
la strada giusta è quella dell’unità larga, della coalizione basata su
programmi, idee, nomi condivisi. Dei tempi dell’Ulivo mi ricordo una grande
presa di coscienza collettiva di valori condivisi, questa deve essere la
stagione dell’Ulivo 2.0, in cui il Pd si candida a fare da collante tra forze
diverse capaci di condividere idee, valori, contenuti e da lì declinarle in
programmi».
Il
modello è fatto, ora si tratta di replicarlo. Genova è tornata contendibile?
«Di
Genova, e La Spezia, si dovrà parlare dopo il ballottaggio di Savona, dove bisogna
tornare a votare. Certo, il risultato di Russo al primo turno ha dato un’
indicazione netta su come ci si dovrà avvicinare alle prossime elezioni, senza
gli errori fatti alle ultime Regionali. Partendo per tempo, con un percorso di
condivisione, insistendo su una propria identità».
Tanto dipenderà
anche dal rapporto con il M5s. Che fare, per non perdere quello che si è
investito sul matrimonio giallorosso?
«Enrico
Letta è stato chiaro da subito, va costruito un centrosinistra il più
possibile aperto al M5s. A livello nazionale, e di riflesso sui territori. Le
intenzioni di Giuseppe Conte in questo senso sembrano andare nella stessa
direzione, ma è vero che ci si sposa sempre in due, e ogni passaggio,
soprattutto in politica, ha bisogno del proprio periodo di decantazione».