
«Ora l’Italia prenda l’iniziativa sull’esercito europeo»
La mia intervista di oggi a Ilsecoloxix firmata da Marco Menduni
Il tema di una Difesa comune europea si è riaffacciato in maniera prepotente dopo l’invasione russa dell’Ucraina. È un’urgenza che affiora soltanto nell’emergenza e poi torna a inabissarsi come un fiume carsico?«Il rischio c’è. Come la necessità di arrivare a quell’approdo. Ne ho trattato nel mio intervento in Aula con il presidente Draghi. L’Italia può davvero giocare un ruolo di traino decisivo e potrebbe prendere l’iniziativa di una conferenza, a Roma, con Germania, Francia e Spagna, i Paesi che insieme rappresentano il 70 per cento della forza militare dell’Europa. Con questi stabilire, sulla Difesa, accordi di stretta, strettissima collaborazione. Una cooperazione rafforzata. Non sarebbe una modalità inedita: anche sulla moneta comune non tutti i Paesi europei fanno parte della Zona Euro: però la valuta esiste ed è forte».
Resta il fatto che la discussione sulla Difesa comune, che lei ha ribadito per anni, si era raffievolita negli ultimi tempi, prima che l’evidenza drammatica degli eventi la riportasse di attualità.«Il tema era riemerso in modo evidente subito dopo la Brexit. Tra il 2015 e il 2016 c’era stata una lettera comune, era partita la Pesco, una cooperazione sui progetti per la difesa che coinvolgeva 23 Stati. Poi, è vero, la discussione è di nuovo scemata di intensità»,
Poi è arrivata la vicenda afghana… «Proprio in quell’occasione ce lo siamo ripetuto. Alcuni Paesi europei, tra cui Italia e Germania, non concordavano sul ritiro per come è avvenuto. La gestione caotica del grande esodo dall’aeroporto di Kabul ne è una dimostrazione plastica. Forse una forza europea avrebbe potuto subentrare e gestire con tempi diversi. Da quell’episodio nella discussione sulla bussola strategica, il documento che inquadra gli obiettivi strategici, si è prevista l’istituzione delle forze di schieramento rapido dell’Ue composte da 5 mila soldati europei, per far fronte a crisi di diverso tipo».
Che cosa manca ora per raggiungere l’obiettivo? «Alcuni passi avanti sono stati fatti. Il momento impone però coraggio, determinazione e capacità di decisione molto più forti. Ci vorrebbe la stessa visione, la stessa lungimiranza che affiora nel Disegno di Legge che il governo De Gasperi aveva predisposto sul tema. L’ho riletto recentemente. Quando si lavorava alla Ced, la Comunità europea di Difesa, che poi fu bloccata dal voto del Parlamento francese nel 1954, perché nel frattempo era cambiata maggioranza, si erano costruite proposte di legge coordinate tra i Paesi aderenti, tra cui quella italiana del ’52, con De Gasperi primo firmatario. Prevedeva già allora forze armate europee per le quali era previsto addirittura che assetti nazionali vigenti permanessero soltanto per determinate funzioni».
A frenare fino a oggi sono stari solo i Paesi? O anche nelle forze armate c’è una sorta di “corporativismo”?«Sicuramente la spinta allo status quo viene in primis dalla riluttanza degli Stati a cedere sovranità. Si spinge in questa direzione, sulla Difesa, soltanto chi veramente crede negli Stati Uniti d’Europa. È vero: i corpi militari hanno la tendenza a conservare le proprie strutture, organizzazioni, assetti e progressioni di carriera. È un elemento che è stato più forte in passato, però, ora si sente molto meno. L’elemento decisivo rimane la decisione politica».
Che cosa ha modificato nel contesto la vicenda ucraina?«Oggi si parla di aumento per le spese della Difesa, con una decisione della Germania inedita per rapidità volume, decisione molto forte per una nazione che, dal Dopoguerra in poi, ha sempre avuto difficoltà a trattare le questioni legate all’armamento. Ed oggi lo decide conun Cancelliere socialdemocratico. Ma proprio per questo è il momento in cui ogni Paese non può andare avanti per i fatti suoi. È necessario anche costruire un’industria europea della Difesa. Adesso è il momento. E non solo per l’Ucraina».
Questo modificherebbe anche il rapporto con la Nato?«La Nato rimane imprescindibile ma bisogna costruire un pilastro più forte in Europa. Basta pensare alla sfida che ci attende, agli squilibri che la guerra in corso lascerà sul territorio europeo quando, come tutti auspichiamo, sarà finita. Una Nato con più punti di vista autorevoli saprebbe contemperare le visioni strategiche: quelle statunitensi con quelle europee, nell’interesse di tutti».
Perché oggi il peso degli Usa rimane soverchiante.«Quando ci sono le riunioni Nato parlano gli Stati Uniti, poi parla la Gran Bretagna, poi tutti gli altri Paesi che pesano per la forza che possono esprimere. Una posizione comune rafforza l’interlocuzione e una lettura non univoca aiuta di più a dare le risposte giuste»
Qual è il ruolo dell’Italia in questo processo?«L’Italia ha forze armate di alto livello. Eccellenze. Molto capaci professionalmente, com’è stato riconosciuto in tutte le missioni. Hanno una grande attitudine a comprendere i contesti, le culture e il modo di atteggiarsi. C’è uno stile italiano. In più, l’Italia è stata la nazione che più ha lavorato per la Difesa comune, sin dagli anni Cinquanta. Il nostro Paese deve essere uno dei motori di questo processo».